Deloitte: il Covid non ha frenato i progetti di smart manifacturing

Sei aziende italiane su dieci hanno proseguito i loro investimenti in ottica industria 4.0, dedicando mediamente un terzo del factory budget

Andrea Muggetti, industrial products & construction sector leader di Deloitte

L’emergenza sanitaria ha impattato su molti settori, rallentando l’economia e interrompendo le supply chain. Nonostante queste difficoltà, la maggior parte delle aziende – il 63% – non ha interrotto i flussi di capitali a supporto dei progetti di Smart Manufacturing, ma li sta accelerando dedicando in media più di 1/3 del factory budget.

A sostenere questa testi è Deloitte, che ha intervistato 850 dirigenti di aziende manifatturiere in 11 Paesi a livello mondiale (Italia, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Messico, Spagna, Uk e Usa).







Le aziende italiane partecipano a ecosistemi produttivi in ambito smart-manufacturing prima di tutto per migliorare il proprio time-to-market (34%), sviluppare nuovi canali o mercati (29%) e migliorare la propria capacità innovativa (26%). Una potenziale riduzione dei costi, sebbene rappresenti un aspetto molto rilevante e generi benefici non trascurabili – specialmente in un contesto quale quello che le aziende stanno attraversando a causa delle conseguenze della pandemia – non è però la determinante principale della costituzione di un ecosistema (14%).

Secondo l’analisi di Deloitte, condotta sulle principali dimensioni di valutazione di un approccio ecosistemico, la maturità dichiarata dalle aziende manifatturiere italiane è quasi sempre inferiore rispetto a quella che le loro azioni e strategie lascerebbero intendere. Alla richiesta di esaminare lo stato attuale di maturità dei loro ecosistemi, solo tra il 7% e il 47% dei leader aziendali intervistati si è classificato a un livello di maturità di 4 o 5 su 5 per ciascuna delle caratteristiche identificate. Il divario esistente rispetto all’importanza di ciascuna caratteristica suggerisce che, mentre le aziende hanno sviluppato connessioni esterne a supporto dei loro sforzi in ambito Industry 4.0, queste non sono ancora sufficienti per poter parlare di un totale approccio ecosistemico.

Il modesto livello di maturità delle aziende manifatturiere italiane si riflette anche nella tipologia di ecosistemi che si vanno creando e diffondendosi. Ad oggi, il 93% delle aziende in Italia ha dichiarato di concentrarsi sullo sviluppo di ecosistemi produttivi, cioè quelli il cui fine ultimo è garantire attraverso l’adozione di opportune soluzioni tecnologiche un ottimale utilizzo della capacità produttiva installata. Altri ecosistemi, fra cui quelli riconducibili alla supply-chain (33%) e ai talenti (27%) sono oggi solo meno ricercati, non meno importanti.

«Alla luce di questi numeri il Next Generation Plan europeo rappresenta uno stimolo per le riforme, ma anche la possibilità di accelerare la trasformazione digitale delle aziende manifatturiere italiane, alle prese con una sfida chiave per recuperare competitività e abilitare il paradigma della fabbrica digitale», ha dichiarato Andrea Muggetti, industrial products & construction sector leader di Deloitte. «Nella definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà centrale adottare un processo di modernizzazione strutturale attraverso una strategia organica, che porti investimenti nelle tecnologie emergenti e sostegno allo sviluppo tecnologico. Data la composizione del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una quota notevole di micro e piccole imprese, il ruolo degli ecosistemi è quanto mai centrale in quanto aiutano ad ottimizzare i processi innovativi, facendo leva sia sulla ricerca condotta internamente all’azienda sia sui processi di trasferimento tecnologico con soggetti terzi, non necessariamente facenti parti della medesima filiera del valore, con cui si condividono sia obiettivi che sfide. I principali vantaggi, offerti da un approccio ecosistemico, risiedono nella possibilità delle aziende di colmare velocemente gap di natura economica, finanziaria, organizzativa e tecnica e nell’effetto “rete” degli ecosistemi, grazie ai quali l’interazione fra una pluralità di soggetti, aventi ciascuno specifiche competenze e risorse, produce un valore superiore alla somma delle singole parti».














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